Liguria MISTERIOSA..

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Sulle incursioni saracene del secolo IX e X

si tramandano storie vere e leggende, legate alle atrocità commesse dagli invasori alla ricerca di tesori e bottino.
Le torri di avvistamento presenti un po’ ovunque testimoniano come potessero vivere le popolazioni della costa, costrette al monitoraggio continuo del mare.

A Volastra, nelle Cinque Terre
si racconta che gli abitanti dopo l’avvistamento di navi saracene, nascosero tutti i loro tesori, comprese le campane d’argento della chiesa in una grande buca nel terreno.
Il borgo fu distrutto ed i tesori mai più ritrovati neppure dagli abitanti superstiti.
Qualcuno ancora oggi, giura di sentire il suono delle campane nelle notti di temporale.
Nel 1746 la città di Genova 

riuscì a liberarsi della dominazione austriaca e questo evento è strettamente legato ad un piccolo e misterioso personaggio, Giambattista Perasso, detto il Balilla, che scagliando un sasso contro un soldato nemico, diede inizio alla rivolta.

La tragica morte del poeta inglese Percy Shelley 

avvenuta nel 1818 in conseguenza di un misterioso naufragio, provocato da una inspiegabile tempesta, davanti al porticciolo di Lerici, fece sì che il Golfo dei Poeti, divenne meta di ammiratrici che si spinsero ad affermare di aver visto il suo fantasma emergere dalle onde.

A Framura:

in località Pietra Rossa, esiste la Casa della Paura, dove molti sconsigliano di avvicinarsi di notte.

Il passo Cento Croci 

che collega la Liguria di Levante con la provincia di Parma si chiamava nel medioevo colle di Lamba.
A mille metri di quota, in pieno inverno, un viandante cercò rifugio come altre volte aveva fatto in un piccolo convento di frati.
Questa volta però non incontrò il solito frate ad accoglierlo benevolmente ma cinque individui poco rassicuranti che lo rapinarono e lo ferirono gravemente gettandolo in un dirupo.
Il viandante non morì ma fu salvato da una famiglia che abitava a mezzora di strada.
Accanto a lui furono rinvenuti i cadaveri dei veri fraticelli e di altre 100 persone alle quali fu data poi degna sepoltura.


baia del silenzio, sestri levante.

La leggenda di Sestri Levante:  la sirena Segesta e il tritone Tugullio 

C’era una volta una sirena chiamata Segesta.
I suoi occhi d’argento come la Luna, i suoi capelli rossi erano come il corallo delle indomate scogliere, le sua coda verde come l’acqua che cinge i paradisi perduti nell’oceano. Segesta era la sirena più bella che Madre Natura avesse mai partorito al dio Poseidone. Il dio era il padre di Segesta e suo era il Regno dei Sette Mari: siccome quella sua figliola era la più bella del golfo ligure, le dedicò un’intera Isola. L’Isola era ricolma della meraviglia di sua Madre Natura, proprio come lo era la sirena stessa, tanto che il popolo del mare, sirene, nereidi ed ondine potevano lì riunirsi per giocare la chiamavano per l’appunto, Isola Segesta. Lì nel Mar Ligure vivevano indisturbati pesci, molluschi e delfini tra i più maestosi che avessero mai solcato le salate acque e all’unisono avevano eletto tale mare il loro santuario.

Ma non c’era solo il gioco per i figli e le figlie di Poseidone.

Siccome l’Isola era vicino alla terraferma, il padre aveva chiesto alle sue figlie predilette, di pattugliare le coste dell’Isola, così che la perla del Mar Ligure potesse rimanere intoccata. Ma Poseidone diede il permesso affinché solo le sirene, le nereidi e le ondine più belle potessero difendere la bellezza dell’Isola. Le belle del popolo del mare stavano assise su scogli che, come troni, emergevano dalle spumose acque. La bellezza era la loro arma: attiravano i pirati, le cui navi erano mosse dall’intento di rapire le sirene e rubare i tesori del mare; attiravano i cattivi pescatori, le cui barche erano mosse dall’intento di macchiarsi del sangue innocente delle più pure creature del mare, solo per vantarsi con gli amici della loro forza.

Ai tritoni però non era permesso di emergere nelle limpide acque di Segesta.

A differenza di sirene, nereidi ed ondine, infatti, i tritoni non avevano fattezze delicate, bensì la barba e i capelli erano alghe, i corpi come roccia e le code coriacee come cozze. I tritoni non erano adatti a difendere il mare: erano più buoni delle sirene. Come le sirene avevano preso dal padre il cipiglio del comando, così i tritoni avevan preso dalla madre la voglia di favoleggiare. Non avrebbero mai potuto fare come le loro sorelle che, tra un gioco e l’altro, scrutavano il braccio di mare tra la terra e l’Isola, così da annegare i loro nemici scatenando tempeste, cavalloni e gorghi. Troppo dolore! La loro bontà li rendeva belli agli occhi di Madre Natura, ma non alla vista del loro stesso padre, così gli fu permesso solo di vedere le loro sorelle da sotto la superficie del mare.

Ma questa è una favola, la magia è una regola che spezza le leggi.

Se ne stava annoiato sul fondo del mare un tritone, di nome Tigullio, quando l’acqua intorno a lui vibrò del canto più soave che avesse mai udito. Al sorgere di ogni Sole, al sorgere di ogni Luna, la musica si riversava nell’acqua ed arrivava al cuore del giovane tritone. Quando l’ebbe sentita per il terzo giorno e la terza notte, il suo cuore ne fu così colmo che fu ridestato a nuova vita: Tritone sorse dalla profondità limacciosa e nuotò nuotò nuotò, più forte che la sua coda gli consentì attraverso le onde sonore che, come un sasso gettato in acqua, correvano in cerchi sempre più ampi.

La musica veniva da un altro mondo, così che Tigullio dimenticò l’antico veto del padre Poseidone.

La Luna versava lattea luce sulle scaglie di Segesta mentre ella, pettinandosi, si specchiava nello specchio del mare così, mollemente adagiata sul trono del porto bello. Nel mentre passava il pectine tra i suoi morbidi capelli corallini, cantava la Luna sorgere e tramontare come ogni notte. Ma stavolta, in un gran fragore, dalle onde emerse un’enorme sagoma scura. Un braccio guizzante come un’orca, uscì dal mare a toccare la coda di pesce della bella Segesta. Era Tigullio il cui nuoto potente aveva seguito la voce della sirena, fino a toccarla con una sola mano. Ma il mare, fin lì piatto come un vetro, ben presto agitò i suoi flutti finché uno scoppio annunciò il Re Padre che regna in fondo al mare: Poseidone, domando cavalloni, aprì la bocca barbuta e ne uscirono orribili pesci degli abissi, essi erano il suo disgusto. Ma il peggio doveva ancora uscire dalla sua bocca: con tonante rimprovero rannuvolò il cielo e maledisse quel gesto d’amore verso la sua figlia prediletta.

Ma poiché questa è una favola, le maledizioni sono una legge che spezza il cuore.

Eppure Segesta aveva visto Tigullio solo per una attimo, eppure s’era innamorata di lui senza neppure saperlo. I muscoli guizzanti del braccio di Tigullio divennero duri e ruvidi come scogli e man mano che si tramutavano in pietra, la maledizione risalì anche sulla coda di Segesta finché non ne spense il canto. Il tuono di Poseidone non colpì solo il maledetto figlio Tigullio, ma anche la benamata figlia Segesta. Così rimasero entrambi pietrificati in quell’abbraccio proibito. La Luna era tramontata e il Sole del quarto giorno era ormai alto nel cielo: Tigullio era divenuto un istmo che collega la terra dei liguri all’Isola Segesta.

Poseidone fu colpito al cuore dalla sua stessa ira, così che da quel momento lasciò che i suoi figli tritoni, brutti ma buoni, potessero giocare le loro sorelle più belle, sirene, nereidi ed ondine.

D’altro canto le sorelle e i fratelli di Tigullio e Segesta rimasero così legati al ricordo della bella sorella che chiamarono l’unione di terra e isola, Segesta Tigulliorum – Sestri del Tigullio, la città dei due mari. Ma le acque di Sestri tacevano ormai. Da quel giorno il canto lunare di Segesta s’udì solo come un’eco, un lontano ricordo che raggiunge poeti e naviganti che odono quella voce del silenzio nella baia, la Baia del Silenzio.

Poi un giorno un poeta, seguendo quell’eco lontana, giunse a Sestri dal remoto Nord:

una volta bagnati i freddi piedi nelle tiepide acque della baia, gli sovvennero i lontani ricordi di quella storia che vi ho appena raccontato. E i ricordi nell’immaginazione del poeta divennero di nuovo voce, il canto della sirena Segesta viveva di nuovo come favole tanto che il poeta chiamò l’altra baia, la Baia delle Favole. Il grande poeta aveva un cuore buono e un meraviglioso genio così, per ringraziare il Mare del dono della voce dell’immaginazione, compì un miracolo che solo ai poeti è concesso: diede una nuova vita ai due giovani marini affinché potessero finalmente amarsi. Il miracolo fu così grande che tutto il mondo poté ascoltarlo in una favola. Chiamò il buon tritone il Principe e la bella Segesta, la Sirenetta. E vissero felici e contenti.


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